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sabato 9 dicembre 2017

La lentezza e la delicatezza dei romanzi giapponesi: La cartella del professore

Ogni volta che termino un romanzo giapponese mi dico che sarà l'ultimo, ma immancabilmente dopo poco ne trovo uno nuovo sulla mia strada

La cartella del professore
Kawakami Hiromi
Einaudi

giappone, amore, rispetto, professore, cibo giapponese


Il romanzo è la storia d'amore tra Tsukiko, impiegata trentasettenne, e Matsumoto Harutsuna, il suo professore di giapponese del liceo, oggi settantenne e vedovo. I due si ritrovano casualmente, dopo oltre vent'anni, seduti uno a fianco all'altra al bancone di una nomi-ya, piccolo locale della tradizione giapponese dove si beve, ma in alcuni casi è anche possibile mangiare qualcosa. Da quella sera i loro incontri si fanno sempre più frequenti, anche se quasi sempre del tutto casuali.

E' incredibile come i romanzi giapponesi dedichino righe su righe a particolari poco rilevanti per la storia e al contrario non appronfodiscano il carattere e gli aspetti dei personaggi. Kawakami Hiromi dedica ad esempio un paio di pagine alle teiere da treno, ricordi di viaggio del professore, ma della vita di Tsukiko sappiamo poco.
La storia è ambientata principalmente nella nomi-ya di Satoru e la casa del professore, dove il cibo giapponese, la birra, il sake e il tè non mancano mai. E' la donna a raccontare in prima persona questa storia, così lontana dalle storie d'amore a cui siamo abituati.
Una storia che ruota intorno al cibo, appannata dai fumi dell'alcol e scandita dal tempo che inesorabilmente scorre senza che tra i due ci sia qualche vero e proprio colpo di scena. Trascorrono oltre due anni prima che il professore, con modi impacciati e lunghi giri di parole, chieda a Tsukiko se abbia voglia di frequentarlo "con l'intenzione di stringere una relazione amorosa".

L'immagine del profesore è quella di vecchietto elegante, che non si separa mai dalla sua cartella nera. La troviamo con lui al "mercato che si tiene nei giorni che terminano per otto", a cena da Satoru, nel bosco alla ricerca di funghi e durante il loro primo viaggio insieme, su di un'isola.
La cartella compare più volte nel romanzo, ma è una presenza quasi sileziosa, mai ingombrante che contribuisce a maturare via via curiosità nei confronti del suo contenuto, che sarà svelato solo alla fine.
La differenza generazionale tra Tsukiko e il Prof emerge spesso. Diverse sono le occasioni in cui l'uomo la rimprovera per i suoi modi poco aggraziati o sottolinea la sua scarsa conoscenza della letteratura giapponese. Tra i due non viene però mai meno il rispetto, si rivolgono uno all'altra dandosi del lei.

La delicatezza della copertina, dal colore rosa antico dei fiori di ciliegio, è perfettamente in linea con il senso di pacatezza e compostezza dei giapponesi.

La prima lettura mi ha lasciata con l'amaro in bocca, la sua lentezza non mi ha permesso di assaporare a pieno i contenuti, a distanza di qualche settimana l'ho ricominciato e sono riuscita a cogliere le sue sfumature.

domenica 13 marzo 2016

Nel mese che celebra le donne un libro dedicato ad una loro passione: Atlante degli abiti smessi

Aprite il vostro armadio e preparatevi a catalogare uno ad uno i vostri vestiti
mentre scorrete le pagine di

Atlante degli abiti smessi
Elvira Seminara
Einaudi

vestiti letture abiti catalogare atlanti

Stendere un elenco di categorie e far rientrare in ognuna di esse i propri abiti, lasciati nell'armadio della casa di Firenze, è il singolare modo di Eleonora di cercare di riavvicinarsi alla figlia Corinne.
Il rapporto tra le due si è rotto in seguito alla morte dell'uomo delle loro vite, rispettivamente ex marito e padre.
Attraverso una scrittura confusionaria, fatta di argomenti lasciati in sospeso per passare subito ad altri, e passaggi poco chiari alla stessa autrice, tanto che spesso sente la necessità di ribadire il concetto per renderlo comprensibile, emerge chiaramente lo stato d'animo della donna.
Una donna che ha lasciato Firenze per Parigi, che soffre la mancanza della figlia che evita ogni suo tentativo di approccio.
Una scrittura in prima persona per cercare di dare la sua versione dei fatti,
per descrivere la sua nuova quotidianità,
con gli abiti e le loro caratteristiche usati come metafora di vita

Ce ne sono moltissimi, di squarci che cerchiamo ossessivamente di riempire. E che non vediamo, o fingiamo di non notare, per non doverli colmare.
...E il rancore è un taglio, una crepa, dove finisci intrappolata.

o come spunto per rievocare momenti passati

Ricordi veloci di quando sali i pensieri a due a due, per arrivare prima al ricordo originario.
Quello più bello da conservare.

o ancora, come modo per dare consigli alla figlia.

Perché ad essere appesi alle grucce, riposti ordinatamente nei cassetti, non sono solo brandelli di stoffa. Sono pezzi di vita, di ricordi, di occasioni perdute e di avventure future.

Per me che ritengo fondamentale indossare sempre vestiti ed accessori adatti all'occasione, l'idea dell'autrice è apparsa subito molto originale. Usando il libro come spunto, mi sono divertita a rivedere il mio armadio e a ripercorrere attraverso il suo contenuto spezzoni della mia vita (l'abito della laurea, quello indossato al primo colloquio o ad una cerimonia, quello comprato per risollevare una giornata no, quello mai indossato, i jeans tanto amati alle superiori, i vestiti della taglia sbagliata, quello comprato perché nel camerino del negozio sembrava perfetto per me, ma riprovato a casa mi faceva sembrare un sacco di patate, quello che mi ha vista tanto felice, per non parlare degli innumerevoli capi dimenticati). La scrittura confusionaria non mi ha permesso però di apprezzare pienamente il romanzo, mi sentirei quindi di consigliarne una lettura a piccole dosi.

Sono sicura che al termine del libro sarete riuscite ad inserire in ognuna delle categorie individuate dalla Seminara i vostri capi e a rievocare i ricordi ad essi legati.



Questo libro partecipa alla Reading Challenge 2016 del blog Emotionally

sabato 11 ottobre 2014

LeggiAmo: Cristo si è fermato a Eboli

Ci sono libri che mi hanno fatto viaggiare con l'immaginazione e permesso di scoprire posti che forse non avrò mai il piacere di visitare, ce ne sono altri che mi hanno quasi costretta a recarmi in un luogo talmente era forte il desiderio di poterlo vivere di persona e poi c'è

Cristo si è fermato a Eboli
Carlo Levi
Einaudi

che ho voluto leggere dopo averne più volte sentito parlare nel corso della mia visita alla pittoresca città di Matera.

Carlo Levi Matera Basilica libro

Un racconto autobiografico dei due anni trascorsi dall'autore, alla metà degli anni Trenta, al confino in Lucania, tra i paesi di Grassano e Aliano (nel libro Agliano), in provincia di Matera, una terra povera al punto da essere definita "dimenticata da Dio". Il titolo riassume perfettamente il messaggio ricorrente del libro: il problema meridionale, non solo una denuncia, ma anche il racconto di una vita, quasi rassegnata, di chi vi abita.
Eboli è un paese in provincia di Salerno, dove la strada e il treno abbandonano la costa e il mare per addentrarsi nelle desolate terre di Lucania, dove gli abitanti non si ritengono cristiani (espressione con cui da queste parti ci si riferisce agli uomini), ma bestie. Eboli rappresenta quindi una sorta di confine tra due mondi così diversi seppur facenti parte dello stesso Paese.

Una descrizione meticolosa, ma mai noiosa, ci permette di conoscere persone, luoghi e avvenimenti, spesso attraverso il racconto di storie, credenze, leggende e superstizioni tipiche di una civiltà prettamente contadina che vive nell'incubo della malaria. Levi con i suoi ricordi, precisi nonostante il libro sia stato scritto circa una decina di anni dopo, suscita forti emozioni. Forte è il contrasto tra la sua figura di medico e persona colta con quella del mondo arcaico nel quale si ritrova costretto a vivere. La sua intelligenza traspare in continuazione: dal sapere adattarsi alla nuova condizione alla voglia di conoscere le persone e non limitarsi ai giudizi ricevuti; inoltre non scrive mai una parola di troppo contro il regime che l'ha condannato.
Come gli abitanti di Agliano, anche io avrei voluto che Levi al termine del confino non fosse salito sul treno per tornare a casa, per poter conoscere altri fatti e altre persone povere economicamente, ma ricche di valori

"...trovava posto anche nel suo animo quella che è la virtù prima e antichissima di queste terre: l'ospitalità; la virtù per cui i contadini aprono la porta all'ignoto forestiero, senza chiedergli il suo nome, e lo invitano a mangiare il loro scarso pane; di cui tutti i paesi si contendono la palma, fieri ognuno di essere il più amichevole e aperto al viandante straniero, che, forse, è un dio travestito."