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lunedì 25 agosto 2014

LeggiAmo (in vacanza): L'isola sotto il mare

Torno dalle vacanze con il piacere di aver conosciuto una nuova autrice grazie a

L'isola sotto il mare
Isabel Allende
Feltrinelli


L'isola sotto il mare è stato il mio compagno di viaggio durante le vacanze pugliesi: la mattina appena sveglia mentre dalla terrazza del B&B dove alloggiavo osservavo i pescatori rientrare con le loro barche, nelle lunghe e cocenti giornate in spiaggia, fino al tramonto del sole dietro la baia.



Un romanzo denso di personaggi, di storia vera, di racconti che si intrecciano tra loro, un tema forte - quello della schiavitù - per questo l'ideale è leggerlo quando la testa è svuotata dai pensieri frenetici del resto dell'anno.
L'autrice ci porta in un viaggio indietro nel tempo, tra i Caraibi e la Louisiana della seconda metà del Settecento e il primo decennio dell'Ottocento, dominato da padroni europei violenti e da schiavi pervasi da un desiderio sempre più forte di libertà.
L'odore della libertà trasuda da ogni capitolo, insieme a quello della fatica del lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero, del sangue e del fumo delle rivolte, gli aromi delle feste, ma anche il tenero profumo dei neonati frutto di notti di passione o di violenza.
Protagonista, eroina e per alcuni capitoli anche narratrice è Zarité Zedella, affettuosamente chiamata Teté, giovane schiava acquistata a soli 9 anni da un francese proprietario di una piantagione affinché svolga i lavori di casa. Perdersi nella musica attraverso la danza è la prima forma di evasione e di libertà che conosce, quando ancora non sapeva camminare.

"Balla, balla, Zarité, perchè lo schiavo che balla è libero...finché balla" mi diceva.
E io ho sempre ballato"

La scrittura di Allende è scorrevole al punto da tenermi incollata alle pagine e da isolarmi da ciò che mi circondava, ma grazie ai brevi capitoli potevo lasciarlo sul bagnasciuga per concedermi un tuffo rinfrescante e riprenderlo senza difficoltà.

"Camminando e camminando per il mondo si consolerà poco alla volta e un giorno, quando la stanchezza gli impedirà di compiere un altro passo, si renderà conto che non si può scappare dal dolore; bisogna imparare a portarlo dentro di sé, perché non sia d'impaccio."

domenica 3 agosto 2014

LeggiAmo: I fantasmi di pietra

Da tempo presente nella mia libreria, iniziato e poi abbandonato,
è finalmente arrivato il momento giusto per

I fantasmi di pietra
Mauro Corona
Oscar Mondadori


9 ottobre 1963
A causa della costruzione della diga del Vajont un'enorme frana si stacca dalle pendici del monte Toc e precipita nel lago artificiale generando un'ondata immane che travolge i paesi sottostanti.
Il disastro del Vajont costò la vita ad oltre 1900 persone.


Mauro Corona in questo suo libro ci racconta del suo paese, Erto, andato in gran parte distrutto in quella notte maledetta. L'autore vaga per le vie del paese, suddividendolo in quattro parti e, percorrendone una per ogni stagione, ci propone spezzoni di vita attuale che si mescolano ai ricordi del passato. Ad ogni passo una casa crollata, una ristrutturata, una chiesa, un laboratorio, una stalla o un'osteria suscitano immagini ed emozioni, proposti sotto forma di brevi racconti più o meno legati gli uni agli altri. Storie di intere famiglie che hanno perso la vita nel disastro, di sopravvissuti che hanno abbandonato per sempre il paese e di pochi temerari che hanno trovato la forza di ricostruire e continuare a vivere in un paese pressoché deserto.

Attraverso storie vere, scherzi più o meno divertenti, leggende, alcune macabre, e descrizioni colme di aggettivi l'autore ci porta con lui in queste contrade e sembra quasi di aver incontrato veramente le persone, di aver annusato gli odori (del fieno, del letame, del vino...) di aver scivolato sulla neve con quei bambini felici e di essere stati nelle botteghe degli artigiani ad assistere al loro meticoloso lavoro di scultura del legno o di realizzazione degli attrezzi per il lavoro nei campi e nei boschi.

Un libro che mi ha emozionato molto e mi ha fatto ricordare i paesi, semplici e contadini, e i ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza dei miei genitori. Mi è piaciuto molto il modo di scrivere di Corona e il suo saper coinvolgere il lettore, anche se sul finale ho trovato le storie e i personaggi simili tra loro, quasi ripetitivi.

"Non abitano più la casa dell'altalena. Sono sparsi per il mondo, in cerca di un pezzo di pane. Montagna avara, paese ripido, patria ingrata non offrivano altro che fatiche. Di sicuro non sanno che la loro altalena sta ancora attaccata al melo con un braccio spezzato, ma è sempre là, nel cortile, che li aspetta. Stranamente in quel luogo è rimasto tutto uguale. Tranne la porta fusa nella terra e l'altalena mutilata, il resto è come un tempo, come se non fossero passati tanti anni, come se il ghiaccio avesse congelato la casa per riconsegnarla un giorno a quei bambini finiti in giro per il mondo."

"La casa ha voluto resistere, non ha ceduto ai colpi del tempo né alla sfortuna. E' rimasta in piedi a dispetto di quelle attorno, che sono crollate. Pare voglia dirci che l'amore semplice, pulito, ingenuo, può sostenere anche le pietre scosse dei terremoti."